Woyzeck

WOYZECK –  una lettura

con Pietro Babina 

Affrontare il testo incompiuto di Georg Büchner a una voce sola è una strana impresa che mi affascina e spaventa. Leggere questo testo così cosparso di brecce e di mancanze, mi ripropone l’esperienza dei frammenti di Eraclito, davanti ai quali i vuoti, che sono più dei pieni, costituiscono la forza misterica e metafisica. Il linguaggio del Woyzeck, le cui traduzioni tradiscono l’impossibilità di un’univoca interpretazione, mette il lettore teatrale nella condizione del funambolo che non ha altra possibilità che seguire bendato la linea del cavo teso della figura di Franz. A tali mancanze si aggiunge, in questo caso, quella delle diverse voci, rendendo l’insieme ancora più onirico e folle di quanto già non sia. Ricordiamo che Woyzeck stesso sente voci che affiorano dai muri, dalla campagna, dalle acque e a questo cercherò di tenermi aggrappato, come se il tutto non fosse altro che l’eco folle della sua mente, non fosse che il suo blaterare nella solitudine forse di un ospedale, forse di una palude. Questa piccola intuizione mi permette di offrire al pubblico un testo teatrale nella sua incompleta integralità, che dalla sua informità trae la sua significanza e che, non a caso, con la sua musicalità ricolma di interruzioni , scarti e spaccature ha ispirato a Berg il suo Wozzeck. Woyzeck è il testo prototipo che prefigura quel che sarà poi il ‘900, chissà, forse le voci che sentiva Woyzeck provenivano dal futuro, un futuro che avrebbe fatto della distruzione e dello sterminio una pratica fondante.  Ma c’è anche una magica sovrapposizione tra il Franz protagonista e il testo che lo racconta, sono entrambi due anormali, due informi, il testo è quindi nella sua forma simmmetrico al suo soggetto e forse è proprio questa corrispondenza a caricare quest’opera di un carisma ineludibile.